La casa di legno brucia nel cuore della notte e la piccola Aurora non viene più trovata. Serena è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone. Ma dopo l’incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l’istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell’universo?
L’educazione delle farfalle (edito da Longanesi) è l’ultimo thriller di Donato Carrisi che tiene incollati alle pagine, e che ha come protagonista secondaria (ma non troppo) la montagna.
La casa di legno brucia nel cuore della notte. Lingue di fuoco illuminano la vallata fra le montagne. Nel silenzio della neve che cade si sente solo il ruggito del fuoco. E quando la casa di legno crolla, restano soltanto i sussurri impauriti di chi è riuscito a fuggire in tempo.
Ma qualcosa non è come dovrebbe essere. I conti non tornano. E il destino si rivela terribilmente crudele nei confronti di una madre: Serena. Se c’è una parola con cui Serena non avrebbe mai pensato di identificarsi è proprio la parola “madre”. Lei è lo “squalo biondo”, una broker agguerrita e di successo nel mondo dell’alta finanza. Lei è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone.
Ma dopo l’incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l’istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell’universo? E se davvero ci accorgessimo di amare profondamente qualcuno soltanto quando ci appare perduto per sempre?
Tra le molteplici qualità della scrittura di Donato Carrisi, una spicca distintamente tra le altre: l’abilità nell’erigere una struttura puramente cinematografica, a cui fanno da sfondo le misteriose e impenetrabili montagne di Vion.
Ogni pagina consente un’immediata lettura filmica della vicenda, dal ritmo dei dialoghi fino alla vivida descrizione scenografica degli ambienti, caratterizzati con la stessa cura con cui sono presentati i protagonisti, il reale punto forte di ogni romanzo di Carrisi.
Questa connotazione cinematografica aiuta il lettore a immergersi appieno nelle scene, come se le stesse guardando su uno schermo. Connotazione evidente soprattutto nelle descrizioni dei panorami, dei boschi e del paese di Vion; luoghi a cui viene data vita attraverso la scrittura di Carrisi e che, ancor più dei personaggi, sembra di avere davanti agli occhi.
Anche stavolta incontriamo personaggi indelebili, gli outcast un po’ sopra le righe che popolano ogni buon thriller, anime nere in lotta prima di tutto con sé stesse e poi con il resto del mondo, contraddistinte da quel lugubre fascino noir che al tempo stesso funge sia da elemento repulsivo che da magnete, una promessa mantenuta in quest’opera dal personaggio di Adone Sterli, a nostro avviso una delle figure più affascinanti descritte da Carrisi.
Serena invece può apparire la caricatura di una donna moderna, spietata, anaffettiva e senza alcun istinto materno, ed è forse l’intenzione di Carrisi di dipingerla inizialmente in questa forma, caricandone i difetti. Tuttavia, ciò consente all’autore di imporre un graduale cambio di rotta alla caratterizzazione del personaggio nella seconda parte del romanzo.
Dalla scomparsa di Aurora, il romanzo cambia quindi registro e diventa un thriller psicologico, in cui il centro focale della vicenda, oltre all’immancabile “chi è stato” imposto dal genere, diventa la formazione di un istinto materno emerso nella protagonista solo dopo la scomparsa del naturale recettore del sentimento, la figlia accettata con riluttanza e che ora si trova disperatamente a inseguire, sia per salvarla da un destino infausto, sia per educare se stessa, come il titolo suggerisce, al ruolo che non ha mai esercitato fino in fondo, quello della madre.